Mi pare che a volte, si buttino davvero lì le parole così, giusto per dire, per toglierci d’impaccio o magari, in quel frangente particolare, per enfatizzare qualcosa che ci sembra di percepire dentro, dovuto ad una emozione improvvisa, ad un brivido che pensiamo sia attribuibile al fatto che in quel momento non siamo soli, ma abbiamo una persona di fronte…E così sull’onda del troppo facile entusiasmo, del sole giallo che brilla, della pioggia che senza pudore sbatte sui vetri appena puliti, delle stelle lucenti d’avorio secolare o della neve che scende urlando in religioso silenzio, ti voglio bene, diciamo e lo facciamo senza riflettere, senza pensare, senza valutare che chi ci ascolta, potrebbe raccogliere questo pensiero e farlo suo e crederci e pensare abbia un valore, che niente e nessuno potranno mai sminuire o addirittura cancellare.
Poi, quando la situazione cambia, quando viene il momento vero, quello in cui dovremmo dimostrare di non averle dette a vanvera, quando dovremmo dare loro sostanza e fisicità, attraverso l’esercizio della pratica, ci sgonfiamo come dei palloni bucati, dimenticando addirittura di averle mai pronunciate e quando ce ne viene chiesto conto, quando veniamo costretti a tornare con la memoria a quell’istante, a mente fredda ricordiamo che quel giorno, l’emozione altro non era stata che la conseguenza di un brivido causato dalla febbre per una insolazione o dal freddo boia, che leccava le mura della nostra casa, perché si era rotta la caldaia.